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sabato 15 agosto 2015

Oltre le parole.



La querelle che in questi giorni ha opposto “la politica” alla “Chiesa” nella persona del Segretario della CEI, Mons. Nunzio Galantino, sulla gestione del fenomeno immigrazione mi pare che vada ben al di là di quanto vorrebbe sembrare.
Credo che tutti ricordino come la questione è nata da una risposta del Papa ad un giovane indonesiano, nell’ambito di un dialogo con i
membri del Movimento Eucaristico Giovanile sui Rohingya (popolazione musulmana in fuga dal Myanmar nell’Oceano Indiano respinta da diversi Paesi dell’area circostante, Birmania, Malesia, Thailandia e Indonesia) e che nulla aveva a che vedere con la nostra situazione se non, potremmo dire, di striscio, ma che fece “drizzare le orecchie” a quanti avrebbero caro fare altrettanto. La posizione e le dichiarazioni di Mons. Galantino si inserivano nel contesto di quanto aveva risposto Salvini in opposizione alle parole del Santo Padre, atto a generalizzare un discorso particolare.
Il diverbio, poi, è degenerato ed ha portato il Vescovo ad entrare più nello specifico e anche lui ha generalizzato, passando da un elemento della politica italiana, anche se dell’opposizione, a tutta la politica e al Governo e, quindi… Apriti cielo!
Si può dire, quindi, che a Galantino la situazione sia “sfuggita la mano”? Non vorrei essere troppo ingeneroso e attribuire un’altra responsabilità al già troppo vituperato Monsignore, ma mi sentirei di dire sì… E, d’altra parte, non sarebbe uomo se non avesse anche lui i suoi sentimenti, le sue passioni e, diciamolo pure, il suo amor proprio. Ma, mi scappa di dire, benedetta quella mano sfuggita che, ancora una volta – e come se non fosse ben dimostrato da molti altri fatti – ha messo in risalto l’intollerabile contraddizione del Cattolicesimo italiano di questo primo scorcio del XXI secolo, suddiviso fra destra e sinistra (cfr., a mo' di esempio, l'articolo di Tommaso Scandroglio su "La Nuova Bussola Quotidiana", molto ironico, ma certo incisivo) e atto a maneggiare (e, mi si permetta, non sempre nel modo giusto) più la Costituzione che il Vangelo!
Mercoledì scorso (12 agosto) nella trasmissione di La 7 “In onda”, Vittorio Sgarbi sosteneva che il Segretario della CEI aveva sbagliato a fare quegli interventi, perché compito della Chiesa sarebbe la cura delle anime, mentre della Politica quella dell’economia (?). Per molti aspetti condivido questa analisi (già nell’antica Grecia, Aristotele inseriva la metafisica fra le scienze teoretiche e la politica e l’economia – guarda tu! – fra quelle poietiche, cioè del “fare”, o pratiche), ma qui non c’è lo spazio necessario per parlare adeguatamente e in modo più esteso dell’argomento. Venerdì 14 agosto, su “L’Occidentale”, organo quotidiano online dell’NCD, la deputata Eugenia Roccella ricordava la posizione di Gesù sulla presunta divisione fra quello che è di Cesare e quello che è di Dio (leggi), condividendo, peraltro, una posizione dell’ex Presidente del Senato Marcello Pera, sul Corriere della Sera, secondo cui in alcuni Vescovi italiani albergherebbero dei residui di quella Teologia della Liberazione (guarda caso nata in Sudamerica) fortemente condannata, a suo tempo, da Giovanni Paolo II perché mescolava Cristianesimo e Marxismo.
I due fatti, a prescindere dal merito (anche qui, per parlarne, sarebbero necessari fiumi di inchiostro e di spazi), esprimono molto chiaramente un grosso disagio dei cristiani italiani orfani di un’unità politica (vera o fittizia che possa essere stata, ma che ha dato molto, in termini di voti e di potere al partito che la rappresentava).
Ma ritorniamo a noi. Io non so se l’attenzione ai poveri e l’inserimento della Chiesa nelle faccende della politica – vero o presunto che sia – possa essere un retaggio della Teologia della Liberazione, ma so sicuramente che, Vangelo!, il Cristo Re e Giudice del mondo ci chiederà se abbiamo sfamato, dissetato, rivestito, curato ecc. i suoi piccoli fratelli nel bisogno, nei quali è possibile vedere Lui Stesso. E, se è vero che la Chiesa è nata dal costato trafitto del suo Signore (mutatis mutandis come Eva dal costato di Adamo), vuol dire che la Chiesa, come Sposa del Signore, è deputata a parlare e a ricordare quanto il Suo Sposo vuole. “Guai se non predicassi il Vangelo!” si autoammonisce S. Paolo; guai se la Chiesa non ricordasse le parole del Signore!
Certo, la Chiesa non può fare politica in senso stretto, ma è l’unica “Istituzione” deputata a svegliare le coscienze addormentate. E, di questi tempi, mi sembra ce ne siano molte.
Il monito di Galantino, mi sembra di poter dire, può servire ai politici, soprattutto ai politici cattolici, ad un serio esame di coscienza circa il loro modo di essere presenti nei Palazzi e uno sprone a fare sempre meglio, per tutte le componenti della società.

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