L’affermazione, uscita nell’inchiesta di
Mafia Capitale, secondo cui il businnes legato all’immigrazione sarebbe più
lucroso del traffico di droga, il conseguente tamtam di giornali, siti e blog
vari e la convinzione che la sinistra al governo “ci terrebbe” agli immigrati
proprio per impinguare le casse delle coop rosse e dei “furbetti del
quartierino” stanno portando ulteriore acqua, e acqua torbida, al mulino di chi
vede il fenomeno dell’immigrazione come fumo negli occhi delle nostre società.
Sicché, in ultima analisi, la cooperazione e la solidarietà sarebbero un favore
alle coop e non un dovere sociale e umano.
Se si aggiunge che le organizzazioni e
le agenzie umanitarie nazionali e internazionali appoggiano e/o comandano questo
aiuto, allora si grida al complotto per buttare giù alcune nazioni a favore di
altre e, se, ancora, si considera che la maggior parte – se non la totalità –
di queste persone è di religione musulmana, si grida al complotto contro la
nostra civiltà e la nostra religione, complotto magari favorito dalla Massoneria. I fatti
di Parigi hanno, credo, chiuso un cerchio. Gli immigrati, musulmani e
intolleranti, sono pericolosi. È l’ultima goccia. Revocare Schengen, chiudere
le frontiere, stop alle moschee ecc. ecc.
Risulta chiaro che una civiltà per
sopravvivere deve difendersi, deve saper scegliere cosa è mio, cosa è tuo,
cosa, infine, può essere condiviso. È innegabile che le identità vadano
conservate, è giusto che l’Occidente salvaguardi ciò che è suo, rafforzandolo;
è giusto che si prenda posizione contro chi ha nella sua testa di venire da noi
solo per delinquere, per toglierci ciò che abbiamo conquistato in secoli e, a
volte, a prezzo di sangue; è, infine, sacrosanto difendere l’incolumità propria
e dei propri cari, ma guai a generalizzare, guai a fare di tutte le erbe un
fascio. A chi scrive pare che anche quest’ultima possibilità possa rivelarsi
altrettanto pericolosa, se non di più, del reclamare e del permettere la chiusura all'accoglienza “a go
go”.
L’immigrazione è un “mondo” variegato e,
oserei dire, presenta tante sfaccettature quanti sono concretamente gli uomini
che migrano e non si può far finta che non sia così. È giusto che ognuno
affronti il problema da un certo punto di vista, è giusto che la Politica, come
arte di ben governare la polis, la res publica, discuta sulle modalità di
gestione del problema ed è giusto che venga analizzato nelle sue molteplici
sfaccettature: dalla sicurezza all’organizzazione dell’assistenza; dalla
sistemazione degli alloggi e dei luoghi di culto all’organizzazione delle
“politiche” alimentari. Non si può far finta di niente… Ne va della nostra
civiltà! Ma non bisogna dimenticare che tutto questo costa. Prima di tutto,
soldi… ma, soprattutto, competenze, cuore e, per usare una brutta espressione
intrisa di macabri ricordi, spazio vitale, cioè possibilità di rendere concreta
l’esistenza di tutti i giorni per coloro che accogliamo.
Certo, per molti lettori questo discorso
può essere utopistico, tutto sbagliato e, perfino, il discorso di un fuori di
testa. Ne sono consapevole. Le ombre sinistre del Califfato dell’ISIS, di Al
Quaeda, le loro minacce all’Occidente, la possibilità di portare le loro
milizie fino a Roma, cioè minare la Cristianità al suo centro, il jihad e, dulcis in fundo, il fenomeno del foreign
fighter… la direbbero lunga di una religione che si profilerebbe come
intrinsecamente violenta.
In realtà, il problema è, a mio parere, molto più
complesso. Io credo che le religioni, qualunque religione, non possano essere
“intrinsecamente” violente. Imbracciare un fucile, farsi esplodere per seminare
terrore e morte o educare alla violenza bambini in nome di Dio è una bestemmia
insopportabile e chi lo fa o lo rende possibile un giorno renderà conto a Dio
di tale comportamento. D’altra parte – s’intende che non voglio offendere
nessuno né suscitare le ire di alcuno, ma, se, per qualcuno ho scritto una panzana,
sono pronto a ritrattare e ad imparare: nella vita non si finisce mai di farlo
e chi scrive è sempre pronto al confronto, purché fatto con garbo e rispetto –,
è innegabile che il Corano e, persino l’Antico Testamento, contengano delle
parti che lasciano di stucco (diciamolo in questi termini!) e che il
fondamentalismo omicida si serva di queste parti per i suoi scopi nefandi. Come
è innegabile che giornali, telegiornali e web sono pieni di immagini ed episodi
di violenza perpetrata in nome dei fondamentalismi e che gli Stati dove vige la
legge teocratica siano gli Stati più liberticidi dell’Orbe intero. Per cui
credo siano giustificabili la prudenza, la paura e la conseguente possibile chiusura.
È sacrosanto che gli apparati di sicurezza dei nostri Stati facciano quanto è
possibile per assicurare protezione ai loro cittadini, intervenendo con ogni
mezzo lecito alla prevenzione del crimine. Quello che, invece, mi chiedo è se
sia altrettanto giustificabile lo “scontro di civiltà” e la cultura del sospetto.
Pensando a quest’ultima, mi veniva in
mente la nota scena del treno e l’esilarante dialogo con “l’onorevole” Cosimo
Trombetta nel film “Totò a colori”, in cui l’attore napoletano guardava
sospettoso (“Quello è un ladro… sicuro… Eh, eh! In galera ti mando.”) il suo
compagno di viaggio, salvo poi essere derubato da tutt’altra persona, di cui
nessuno dei due nutriva alcun sospetto. Che cosa voglio dire con questo? Che
non si debba sottovalutare il pericolo terrorismo integralista e stanarlo con
ogni mezzo lecito è fuori discussione, l’ho detto, ma dobbiamo stare anche
attenti a non isolare indistintamente chi viene nelle nostre terre alla ricerca
di un avvenire migliore per sé e per i propri cari, senza svenderci ma neppure
trincerandoci dietro intransigenze egoistiche che niente hanno a che fare con
la naturale propensione alla difesa e al diritto delle genti.
Che, poi, a parere di chi scrive, la
soluzione non è la difesa ad oltranza, e magari con le armi pronte all’uso, dei
nostri confini territoriali, ma quella delle nostre coscienze e della nostra
Cultura e Civiltà. Il pericolo non sta nella vicinanza di chi pensa
diversamente da noi, ma nell’impoverimento del nostro “mondo interiore” e nella
sua relativizzazione. Solo se riterremo ancora utile non l’attacco becero di
chi tutto irride, ma la libertà di chi pone sul tavolo del confronto se stesso
e le proprie convinzioni, senza paure, potremo accampare la pretesa di salvare
il nostro Occidente. Viviamo – è inutile negarcelo – un periodo di grandi sconvolgimenti.
L’Europa stessa sta attraversando un periodo di gravi contraddizioni, che non
riguardano soltanto l’economia e i rapporti fra i vari Stati sulla base di
valori prettamente materiali, e, credo, questa è una delle più gravi cause
della perdita delle sue difese. Il mancato inserimento nella sua Costituzione
del riferimento alle radici cristiane, per esempio, lungi dall’essere stato una
scelta di uguaglianza e laicità, è stato un modo per abdicare ad una difesa di
identità. Checché si voglia dire, infatti, le nozioni basi della nostra
concezione della famiglia, del bene comune, dello Stato, dell’educazione dei
figli e di tante altre nozioni all’interno della nostra identità europea e
occidentale sono da riportare non tanto – o, magari, non solo – all’Illuminismo,
ma, soprattutto, all’opera dei grandi centri cristiani e dei grandi pensatori e
monarchi che, istruendo il popolo ai valori del Cristianesimo, hanno saputo
porre le basi di una identità religiosa, ma anche culturale e politica. La
conservazione della cultura latina, base del diritto e delle libertà
occidentali, non è stata operata dai creatori dell’Encyclopédie, o dall’armata di Carlo Martello a Poitiers nel 732 e
dai Crociati, ma dai monaci amanuensi che, con pazienza, si davano, prima dell’invenzione
della stampa, al lavoro di copiatura a mano di tantissimi testi, sia religiosi
sia profani e pagani.
Se, dunque, non vogliamo perdere tutto
questo patrimonio non serve chiudere le porte a chi è in difficoltà, ma è
sufficiente affermare con forza la nostra identità, senza buonismi ipocriti, ma
anche senza paura.
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