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lunedì 19 gennaio 2015

SCONTRI E INCONTRI DI CIVILTÀ



L’affermazione, uscita nell’inchiesta di Mafia Capitale, secondo cui il businnes legato all’immigrazione sarebbe più lucroso del traffico di droga, il conseguente tamtam di giornali, siti e blog vari e la convinzione che la sinistra al governo “ci terrebbe” agli immigrati proprio per impinguare le casse delle coop rosse e dei “furbetti del quartierino” stanno portando ulteriore acqua, e acqua torbida, al mulino di chi vede il fenomeno dell’immigrazione come fumo negli occhi delle nostre società. Sicché, in ultima analisi, la cooperazione e la solidarietà sarebbero un favore alle coop e non un dovere sociale e umano.
Se si aggiunge che le organizzazioni e le agenzie umanitarie nazionali e internazionali appoggiano e/o comandano questo aiuto, allora si grida al complotto per buttare giù alcune nazioni a favore di altre e, se, ancora, si considera che la maggior parte – se non la totalità – di queste persone è di religione musulmana, si grida al complotto contro la nostra civiltà e la nostra religione, complotto magari favorito dalla Massoneria. I fatti di Parigi hanno, credo, chiuso un cerchio. Gli immigrati, musulmani e intolleranti, sono pericolosi. È l’ultima goccia. Revocare Schengen, chiudere le frontiere, stop alle moschee ecc. ecc.
Risulta chiaro che una civiltà per sopravvivere deve difendersi, deve saper scegliere cosa è mio, cosa è tuo, cosa, infine, può essere condiviso. È innegabile che le identità vadano conservate, è giusto che l’Occidente salvaguardi ciò che è suo, rafforzandolo; è giusto che si prenda posizione contro chi ha nella sua testa di venire da noi solo per delinquere, per toglierci ciò che abbiamo conquistato in secoli e, a volte, a prezzo di sangue; è, infine, sacrosanto difendere l’incolumità propria e dei propri cari, ma guai a generalizzare, guai a fare di tutte le erbe un fascio. A chi scrive pare che anche quest’ultima possibilità possa rivelarsi altrettanto pericolosa, se non di più, del reclamare e del permettere la chiusura all'accoglienza “a go go”.
L’immigrazione è un “mondo” variegato e, oserei dire, presenta tante sfaccettature quanti sono concretamente gli uomini che migrano e non si può far finta che non sia così. È giusto che ognuno affronti il problema da un certo punto di vista, è giusto che la Politica, come arte di ben governare la polis, la res publica, discuta sulle modalità di gestione del problema ed è giusto che venga analizzato nelle sue molteplici sfaccettature: dalla sicurezza all’organizzazione dell’assistenza; dalla sistemazione degli alloggi e dei luoghi di culto all’organizzazione delle “politiche” alimentari. Non si può far finta di niente… Ne va della nostra civiltà! Ma non bisogna dimenticare che tutto questo costa. Prima di tutto, soldi… ma, soprattutto, competenze, cuore e, per usare una brutta espressione intrisa di macabri ricordi, spazio vitale, cioè possibilità di rendere concreta l’esistenza di tutti i giorni per coloro che accogliamo.
Certo, per molti lettori questo discorso può essere utopistico, tutto sbagliato e, perfino, il discorso di un fuori di testa. Ne sono consapevole. Le ombre sinistre del Califfato dell’ISIS, di Al Quaeda, le loro minacce all’Occidente, la possibilità di portare le loro milizie fino a Roma, cioè minare la Cristianità al suo centro, il jihad e, dulcis in fundo, il fenomeno del foreign fighter… la direbbero lunga di una religione che si profilerebbe come intrinsecamente violenta.
In realtà, il problema è, a mio parere, molto più complesso. Io credo che le religioni, qualunque religione, non possano essere “intrinsecamente” violente. Imbracciare un fucile, farsi esplodere per seminare terrore e morte o educare alla violenza bambini in nome di Dio è una bestemmia insopportabile e chi lo fa o lo rende possibile un giorno renderà conto a Dio di tale comportamento. D’altra parte – s’intende che non voglio offendere nessuno né suscitare le ire di alcuno, ma, se, per qualcuno ho scritto una panzana, sono pronto a ritrattare e ad imparare: nella vita non si finisce mai di farlo e chi scrive è sempre pronto al confronto, purché fatto con garbo e rispetto –, è innegabile che il Corano e, persino l’Antico Testamento, contengano delle parti che lasciano di stucco (diciamolo in questi termini!) e che il fondamentalismo omicida si serva di queste parti per i suoi scopi nefandi. Come è innegabile che giornali, telegiornali e web sono pieni di immagini ed episodi di violenza perpetrata in nome dei fondamentalismi e che gli Stati dove vige la legge teocratica siano gli Stati più liberticidi dell’Orbe intero. Per cui credo siano giustificabili la prudenza, la paura e la conseguente possibile chiusura. È sacrosanto che gli apparati di sicurezza dei nostri Stati facciano quanto è possibile per assicurare protezione ai loro cittadini, intervenendo con ogni mezzo lecito alla prevenzione del crimine. Quello che, invece, mi chiedo è se sia altrettanto giustificabile lo “scontro di civiltà” e la cultura del sospetto.

Pensando a quest’ultima, mi veniva in mente la nota scena del treno e l’esilarante dialogo con “l’onorevole” Cosimo Trombetta nel film “Totò a colori”, in cui l’attore napoletano guardava sospettoso (“Quello è un ladro… sicuro… Eh, eh! In galera ti mando.”) il suo compagno di viaggio, salvo poi essere derubato da tutt’altra persona, di cui nessuno dei due nutriva alcun sospetto. Che cosa voglio dire con questo? Che non si debba sottovalutare il pericolo terrorismo integralista e stanarlo con ogni mezzo lecito è fuori discussione, l’ho detto, ma dobbiamo stare anche attenti a non isolare indistintamente chi viene nelle nostre terre alla ricerca di un avvenire migliore per sé e per i propri cari, senza svenderci ma neppure trincerandoci dietro intransigenze egoistiche che niente hanno a che fare con la naturale propensione alla difesa e al diritto delle genti.
Che, poi, a parere di chi scrive, la soluzione non è la difesa ad oltranza, e magari con le armi pronte all’uso, dei nostri confini territoriali, ma quella delle nostre coscienze e della nostra Cultura e Civiltà. Il pericolo non sta nella vicinanza di chi pensa diversamente da noi, ma nell’impoverimento del nostro “mondo interiore” e nella sua relativizzazione. Solo se riterremo ancora utile non l’attacco becero di chi tutto irride, ma la libertà di chi pone sul tavolo del confronto se stesso e le proprie convinzioni, senza paure, potremo accampare la pretesa di salvare il nostro Occidente. Viviamo – è inutile negarcelo – un periodo di grandi sconvolgimenti. L’Europa stessa sta attraversando un periodo di gravi contraddizioni, che non riguardano soltanto l’economia e i rapporti fra i vari Stati sulla base di valori prettamente materiali, e, credo, questa è una delle più gravi cause della perdita delle sue difese. Il mancato inserimento nella sua Costituzione del riferimento alle radici cristiane, per esempio, lungi dall’essere stato una scelta di uguaglianza e laicità, è stato un modo per abdicare ad una difesa di identità. Checché si voglia dire, infatti, le nozioni basi della nostra concezione della famiglia, del bene comune, dello Stato, dell’educazione dei figli e di tante altre nozioni all’interno della nostra identità europea e occidentale sono da riportare non tanto – o, magari, non solo – all’Illuminismo, ma, soprattutto, all’opera dei grandi centri cristiani e dei grandi pensatori e monarchi che, istruendo il popolo ai valori del Cristianesimo, hanno saputo porre le basi di una identità religiosa, ma anche culturale e politica. La conservazione della cultura latina, base del diritto e delle libertà occidentali, non è stata operata dai creatori dell’Encyclopédie, o dall’armata di Carlo Martello a Poitiers nel 732 e dai Crociati, ma dai monaci amanuensi che, con pazienza, si davano, prima dell’invenzione della stampa, al lavoro di copiatura a mano di tantissimi testi, sia religiosi sia profani e pagani.


Se, dunque, non vogliamo perdere tutto questo patrimonio non serve chiudere le porte a chi è in difficoltà, ma è sufficiente affermare con forza la nostra identità, senza buonismi ipocriti, ma anche senza paura.

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