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lunedì 17 agosto 2009

L'incidente. (1)

La carrozzeria era lì, irriconoscibile, dopo l'impatto e l'incendio, che ne era seguito e che aveva carbonizzato anche il guidatore. Il commissario Loiacono e l'agente De Simone erano accorsi subito.
L'auto, una Fiat Tempra, che era stata bianca, era uscita di strada sul rettilineo della Statale e, sfondando il guard-rail, era andata a schiantarsi contro un albero, fracassando interamente il cofano anteriore e incendiandosi. Sul posto erano immediatamente arrivati i Vigili del Fuoco e una pattuglia della Polizia Stradale, insieme ad un’ambulanza e ad un carro attrezzi dell’ACI. Gregorio era arrivato con la sua Bravo privata (raramente usava un'auto di servizio), scarrozzando il questore Lo Buono. Arrivati sul posto, si erano trovati di fronte ad uno spettacolo terrificante. La portiera era stata appena aperta. Un corpo irriconoscibile era adagiato su un sedile del quale le fiamme avevano risparmiato solo lo scheletro. Un poliziotto della Stradale aveva avvicinato il commissario e gli aveva dato degli oggetti che potevano servire all'identificazione del cadavere. Si trattava di un orologio da polso con il cinturino metallico e la cornice del quadrante ricoperta d'oro. Era fermo e le sue lancette segnavano le tredici e venti, probabile ora dell'incidente. Insieme all'orologio, il poliziotto aveva dato al commissario anche un braccialetto, che, per quanto annerito dal fuoco, sembrava di argento. Aveva una placca su cui poteva esserci stato il nome della vittima. Il commissario prese quegli oggetti e li affidò a De Simone per portarli in laboratorio.
Un funzionario della Polstrada avvicinò il commissario e lo invitò ad osservare con attenzione alcuni particolari.
- Non nota anche lei qualcosa di strano, commissario? Noi della Stradale abbiamo rilevato che l'attrito prodotto dai freni sul manto stradale non rivelava una velocità particolarmente alta, anzi, a voler essere precisi, sembrava che l'auto fosse a folle.
- Davvero? - esclamò Loiacono, mentre, con l'inseparabile sigaretta tra le labbra, esaminava l'interno di quello che era rimasto della vettura.
La posizione del cadavere attirò subito la sua attenzione. Il corpo, infatti, era riverso su quello che era stato il sedile e aveva entrambe le mani appoggiate al volante in una posa di grande tensione. La sua testa, però, non era dritta in avanti, ma leggermente volta sul lato destro. Quella posizione, particolarmente tesa, non sembrava combaciare con l'evidente rilassamento della testa.
- Inoltre, - riprese il funzionario della Stradale, - come cacchio fa un’auto, che ha sbattuto sul muso, ad incendiarsi, se il serbatoio è sul retro?
- Siamo, dunque, di fronte ad un omicidio? - domandò il questore.
- Già! - confermò Loiacono, pensieroso. - E non sappiamo neppure chi è la vittima! Non ci resta che attendere l'esito dell'autopsia ed esaminare il bracciale e l'orologio, sperando di ottenere qualche indizio concreto.
Mentre gli uomini dell’Istituto di Medicina legale rimuovevano il cadavere, il questore chiese a Loiacono uno strappo fino alla questura.
- Certo, dottore! Anch'io ritorno in ufficio.

* * *

Nel corridoio che conduceva al suo ufficio, Gregorio fu fermato da un agente.
- Dottore, nel suo ufficio c’è un certo Luciano Cardini, un ingegnere; è venuto a denunciare la scomparsa della moglie...
- Ed è venuto qui? Perché non è andato all'ufficio Persone scomparse?
- Non so che dirle. Mi ha detto che voleva parlarle. - si scusò l'agente.
- Va bene, va bene! - sbuffò Loiacono.
Nell'ufficio, attendeva il commissario un uomo sulla cinquantina, alto e robusto; dimostrava un'età maggiore di quella che aveva in realtà. La sua figura scarmigliata faceva capire che s'era deciso a recarsi in quel luogo dopo un lungo travaglio.
- Sono l'ingegner Luciano Cardini. - si presentò. - Lavoro alla Tecnovar!
Loiacono, dopo averlo fatto accomodare, gli domandò quale specifica ragione lo avesse portato proprio nel suo ufficio e non in quello addetto alle persone scomparse.
- Dovete cercare mia moglie: credo che sia in grave pericolo! - cominciò l'ingegnere.
Quella sicurezza di sé – quella supponenza, a voler dirla tutta – irritò ancora di più il funzionario, che, ad ogni modo, non lo dette a vedere, decidendo di dargli corda per vedere fino a che punto bisognava prendere la cosa sul serio.
- Che cosa glielo fa pensare?
Il Cardini trasse dalla tasca dell'impermeabile un pacchetto di lettere.
- Una ventina di giorni fa ho cominciato a ricevere lettere anonime, che mi minacciavano di morte. - esclamò, mettendo le lettere sulla scrivania, dinanzi al commissario. - Io non ci ho dato peso: l'ho creduto uno scherzo, ma mia moglie era dell'avviso di venire a denunciare la cosa. Quando le lettere smisero di arrivare, dato che non era successo niente, mia moglie si convinse che la questione era davvero senza importanza e abbiamo dimenticato. Fino ad ora. Questa mattina, infatti, mia moglie ha preso l'auto - la mia, perché la sua è dal carrozziere - e, come ogni giorno, ha raggiunto il Liceo Scientifico "Scacchi", dove insegna Lingua Inglese. All'ora di pranzo, però, secondo la nostra colf (io ero ancora in ufficio), non è rincasata né ha dato ancora notizie di sé. Non è da lei: io sono preoccupato!
Il commissario rimase un po' soprappensiero. Poi esclamò:
- Lei, dunque, penserebbe che qualcuno abbia colpito sua moglie perché ingannato dall'auto, ma che, in realtà, il bersaglio sarebbe stato lei?
- La cosa potrebbe essere andata effettivamente così!
Il commissario non aprì bocca. Il suo cervello era già al lavoro.
- Lei ha dei motivi fondati per credere che queste minacce siano state messe in atto? - domandò,
sventagliando alcune delle lettere. - Ha dei nemici che potrebbero volere la sua morte?
L'ingegnere spiegò che, nell’ambiente delle costruzioni belliche, anche un collega sarebbe potuto diventare un nemico. In quel periodo, poi, la Tecnovar stava trattando con il governo americano per la fornitura di nuovi modelli di mine anticarro e poteva essere del tutto probabile che il dirigente di qualche reparto dell'azienda fosse stato contattato dai servizi segreti di un altro Paese e incaricato di far fuori il responsabile del progetto.
- Non crede che questa roba da Guerra Fredda sia sorpassata? - domandò De Simone.
- Non tanto! - rispose - Non tanto!
Il commissario volle sapere se la ditta o qualche suo rappresentante avesse avuto contatti con il governo americano e a quale livello.
- Io stesso sono in continuo contatto con il Consolato degli Stati Uniti e, tramite il console, con l'ambasciatore!
Loiacono sembrò non aver udito quanto gli era stato detto. La sua mente percorreva altre strade.
- In quanto a sua moglie, com'è nella vita privata? Qualcuno la odia a tal punto da voler ucciderla?
- Mia moglie è sempre stata una brava persona. Non so davvero chi potrebbe provare un sentimento così forte contro di lei!
- Qualcuno del suo ambiente di lavoro, per esempio! Colleghi invidiosi, qualche studente balordo, che ha voluto vendicarsi di qualche "ingiustizia", un cattivo voto, un'umiliazione...
- E se ne sarebbe vendicato addirittura con l'omicidio? Stento a crederci!
- Non sarebbe la prima volta! - interloquì De Simone.
- Noi stiamo parlando di lei come di una morta, ma, in realtà, non sappiamo che cosa le è successo. - sbottò l'ingegnere, spazientito. - Prima di fare vuote illazioni, voglio che la troviate!
Il commissario capì che la cosa era seria. Si irritò con se stesso perché, in quei frangenti, la legge gli legava le mani. Sospirò. Sdraiatosi, quindi, sulla poltrona, cominciò a dire:
- In realtà, lei dovrebbe rivolgersi all’ufficio Persone scomparse. Noi ci occupiamo di omicidi...
- Già, mia moglie dovrà morire perché ve ne occupiate! - esclamò sarcastico il Cardini.
- D'accordo, d'accordo: chi dovremmo cercare?
L'uomo prese dalla tasca dell'impermeabile una foto della moglie e la dette al funzionario dicendo:
- Si chiama Laura Valle. Viaggia su una Tempra bianca targata AB 509 XY.
De Simone prese nota.
- Bene! - concluse - Ci faremo vivi appena avremo notizie sicure.

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