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domenica 17 luglio 2016

TRA IL DIRE E IL FARE



«Io penso che l’Europa o ridiventerà cristiana o diventerà musulmana. Ciò che mi pare senza avvenire è la “cultura del niente”, della libertà senza limiti e senza contenuti, dello scetticismo vantato come conquista intellettuale, che sembra essere l’atteggiamento dominante nei popoli europei, più o meno tutti ricchi di mezzi e poveri di verità. Questa “cultura del niente” (sorretta dall’edonismo e dalla insaziabilità libertaria) non sarà in grado di reggere all’assalto ideologico dell’islam che non mancherà: solo la riscoperta dell’avvenimento cristiano come unica salvezza per l’uomo - e quindi solo una decisa risurrezione dell’antica anima dell’Europa - potrà offrire un esito diverso a questo inevitabile confronto». 

Giacomo Card. Biffi (1928-2015)

Di fronte all’ennesima tragedia di origine islamica, che ha colpito la Francia, questa volta nel giorno della sua Festa Nazionale, cioè nel giorno che dovrebbe rimarcare l’identità repubblicana e riunire tutti i Francesi che si riconoscono nel tricolore blu, bianco e rosso, non credo dover esserci più parole. Mi ritengo un buon cattolico (ancora in cammino, per carità!) praticante e, come tale, attento alle necessità dei fratelli (attivo nella Caritas); qualche volta, sia sui social network sia “dal vivo”, ho sostenuto la necessità dell’accoglienza in chiave di obbedienza alle parole di Gesù, che si identifica nei fratelli più poveri e che ci giudicherà in base alla carità e non ad altro. E qualche volta ho anche litigato. Tutto ciò, ovviamente, non lo rinnego – ci mancherebbe! –, ma quanto stiamo vivendo, e l’abbondanza di notizie e dietrologie circa movimenti di “certe manine” (e di certi ben noti grembiulini) dietro l’agire di questo o quel politico e questa o quella decisione dell’ONU o dell’UE, notizie che è possibile trovare in Internet e su cui, per questione di spazio, non mi dilungo (ma spero di spendere qualche post, prima o poi), permettono di scoprire una realtà sommersa a dir poco aberrante, che ci porta a credere alla possibilità che chi finora era tacciato di razzismo quando parlava di protezione, anche innalzando muri, non avesse, poi, tutti i torti. Credo arrivato davvero il momento di lasciar perdere le belle parole del politicamente corretto e di darci da fare tutti insieme per fermare una deriva pericolosa per tutti noi, che con fatica abbiamo costruito davvero la possibilità di vivere insieme pacificamente, gettando veramente ponti (metaforici e reali) che hanno permesso l’unione di più popoli. E ciò non è stato fatto “con la spada”, come qualcuno vuole farci credere, ma con la cultura, con le leggi e con la Fede. Anzi, partirei proprio dalla Fede, perché è stato proprio il credere di uomini e donne che non tutto finiva nell’angusto spazio di questa Terra troppo piccola per accogliere grandi speranze che ha permesso la costruzione di una civiltà, che a buon diritto possiamo gloriarci di chiamare “civiltà dell’amore”. E ciò, certamente, è avvenuto non senza versare sangue. Ma questo era nel conto. Qui, mi sorge il timore di scandalizzare qualche benpensante: la violenza – certamente sempre da condannare –, frutto di egoismi e di invidie, in un certo senso e in certi modi, fa parte della passione, intesa come ricerca e perseguimento maniacali di un'idea.
Ma i simpatizzanti del politicamente corretto chiamano tutto questo razzismo. Razzismo, cioè odio verso tutte le manifestazioni del diverso (guarda la definizione che del sostantivo dà il Vocabolario Treccani).
Ma è razzismo credere nella possibilità di difenderci con ogni mezzo da chi, è conclamato, ha in odio noi (“i miscredenti” e “gli infedeli”) e la nostra civiltà? Perché, poi, il discorso è proprio questo. Sia che si tratti di quel gruppo umano che, con le sue varie sigle, abbiamo inserito sotto il comune nome di “terrorismo islamista” sia che si tratti delle pretese del cosiddetto “Islam moderato”, abbiamo deciso che non bisogna rispondere più di tanto a questi “compagni che sbagliano” (come dicevano delle BR i comunisti degli anni Settanta / Ottanta). È veramente razzismo proteggere, almeno proteggere, se non siamo più capaci di far avanzare, quella civiltà e quei costumi basati sulla parola del Dio-Uomo, che ci ha espressamente comandato di andare in tutto il mondo e di battezzare, nel Nome di quella Trinità che è la Sua profonda essenza? Sì, a quanto pare è razzismo! È razzismo, perché “tutte le Divinità”, come tutti gli uomini, devono essere uguali e il Dio che conquista il mondo con la sottomissione e la spada è uguale al Dio che, per conquistarci, si sottomette Lui Stesso a noi e muore Lui stesso nel modo più obbrobrioso, modo in cui ancora oggi qualcuno uccide, nel silenzio generale, i Suoi figli, che vogliono essergli fedeli.
È vero, la violenza non è bella e un cristiano dovrebbe starne lontano e, al contrario, darsi da fare per rimuoverne le cause e, così, creare davvero la possibilità di una vita veramente degna dell’uomo, di tutti gli uomini. Ma non è, forse, vero che anche il Catechismo della Chiesa Cattolica (§§ 2263-2267, pag. 604) permette la legittima difesa fino alla soppressione fisica del reo, quando non ci sono altri mezzi per proteggere la comunità e, soprattutto, quando l’uccisione del reo non sia pena sproporzionata alla sua colpa? E ciò non è un pensiero “moderno”, ma risale addirittura all’insegnamento di S. Tommaso d’Aquino (cfr. note ai paragrafi sopra citati).
Non sono un esperto di geopolitica o di diplomazia internazionale per valutare l’equità di una guerra contro l’Isis o Daesh, che dir si voglia, ma credo di poter dire che, se ci teniamo a difendere la nostra civiltà e le nostre conquiste e se non vogliamo permettere che arretrino di fronte alla forza di queste “spinte esterne”, dovremmo anche pensare senza troppo schifo che il ripristino dei confini nazionali e il loro severo controllo – se la costruzione dei muri e dei fili spinati la si ritiene troppo immorale – e il diniego di fronte alla continua richiesta di moschee e centri islamici siano il minimo per garantirci la libertà e la sopravvivenza.
O, forse, no? Perché Gesù ci ha detto, senza “se” e senza “ma”, di amare i nostri nemici e, se non vogliamo fare di Lui un bugiardo, dobbiamo accettare il suo Vangelo integralmente e sottoporre la nostra logica e il nostro modo di vivere alla sua luce e alla sua logica, che è quella dell’insegnamento, quella parola che salva, che da quel tragico 1789,
Presa della Bastiglia. Olio su tela di Jean-Pierre Houel (1789)

sembra aver perduto la Sua forza dirompente, e la testimonianza di quelle Virtù Teologali (Fede, Speranza e Carità), che sono state la vera base della costruzione della nostra Europa.
In ogni caso, l’amarezza e il dolore per una civiltà decadente e stanca di sé rimangono. Ma, interroghiamoci, queste sensazioni non derivano, forse, dalla consapevolezza di non averle sapute difendere meglio, quella libertà, quell’uguaglianza e quella fratellanza, che, in fondo, sono valori insegnati dallo stesso Gesù?
Crocifissione. Olio su tela di Gianbattista Tiepolo (1745-1750)
Allora siamo ad un bivio, la nostra civiltà è ad un bivio: o chi ha la possibilità di farlo – parlo dei politici e, soprattutto, dei politici cristiani – si allontani dalle chiacchiere vuote e dalla corsa allo svuotamento collettivo dei valori e faccia funzionare il cervello per creare vere condizioni di libertà e di uguaglianza (per tutti, perché non è concepibile una guerra fra poveri, nella situazione odierna) o, davvero, potremo dire che la nostra civiltà, il nostro desiderio di uguaglianza, sono stati soltanto un bellissimo sogno. E la nuova Europa sarà l'amaro risveglio.
Noi (mi metto anch’io, indegnamente), professionisti della parola e creatori di Cultura, non possiamo fare altro che essere guide in questo processo. E, se credenti, pregare.

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