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martedì 17 giugno 2008

Chi ha ucciso Babbo Natale? (1)


I


Si chiamava Natale Guida; tutti lo conoscevano come "Babbo Natale" per via della sua barba alla Garibaldi e per la sua generosità e la sua abitudine di portare le tasche della giacca o del cappotto, a seconda della stagione, sempre piene di cioccolatini e caramelle, che dava ai bambini di sua conoscenza. Tutti gli volevano bene ed egli amava tutti allo stesso modo e per tutti aveva un sorriso, una carezza, una parola buona, un consiglio. Era stato un semplice portalettere e nella vita aveva certamente fatto con la sua vecchia Bianchi, che non era certo una Mountain Bike, decine di chilometri e aveva acquistato la stoffa del provetto corridore. Adesso, però, a settant'anni d'età, vari problemi di salute e un po' di pancia lo avevano costretto ad abbandonare quel mezzo, sua autentica passione, e a muoversi con le proprie gambe. Non aveva, in ogni caso, perso nulla del suo vigore fisico e della sua giovialità. "Babbo Natale" era un uomo sempre allegro.

Da quando era morta la moglie, portata via da un infarto dieci anni prima; da quando il figlio, sposatosi e trasferitosi a Milano, andava a trovarlo solamente due volte l'anno, a Natale e a Pasqua, quest'uomo viveva praticamente solo. Se non fosse stato per la signorina Rosa Rinaldi ("la cara Rosina", come la chiamava affettuosamente), una donna, che gli manteneva in ordine la casa e abitava con lui, il vecchio sarebbe certamente morto di malinconia.

La gente, che andava a fargli visita, un po' per chiedergli consiglio su varie questioni, un po' per gratitudine, un po' per tenergli compagnia, gli suggeriva di rompere con quella solitudine e cercava di persuaderlo ad andare in un ospizio o a Milano con il figlio. Il vecchio non accettava l'idea dell'ospizio: aveva la sua "cara Rosina". Andarsene a Milano, poi, neanche parlarne! Suo figlio Giovanni, messa su una piccola industria di tessuti, che gli rendeva bene, si era stabilito in quella città e ne aveva assunto le abitudini, nel bene e nel male. Il vecchio, quindi, abituato alla frugalità dell'antica quotidianità meridionale, non si trovava a suo agio con quell'uomo che "si era fatto i soldi". E, poi, gli si chiedeva di lasciare la sua città, quella città caotica e piena di gente, a volta scorbutica e indifferente, che, però, era la sua città natale, il luogo in cui aveva sempre abitato, il luogo in cui aveva lavorato, gioito e sofferto, il luogo in cui i suoi genitori si erano spezzata la schiena nel lavoro, per portare avanti una famiglia di dieci figli, e dove, adesso, riposavano nella pace eterna e, infine, il luogo che, non lo negava, gli aveva dato anche gioie e soddisfazioni e che, nonostante il traffico lo rendesse quasi invivibile, gli piaceva.

Gli dispiaceva, dunque, lasciare tutto questo e, inoltre, non voleva abbandonare la sua villa carica dei ricordi della sua adorata Carla. Quella casa, diceva la gente, era per lui troppo grande. E lo era davvero, con le sue tre grandi camere, l'ampio corridoio, la cucina composta dal cucinino e da un tinello abbastanza grande e una stanza da bagno non piccola.

Ma egli aveva Rosina. Era, questa, la sua colf, una donna di quarant'anni anni circa, nubile, ancora piacente, che, per il fatto di frequentare la casa di quel vecchio vedovo, aveva fatto chiacchierare le malelingue. Era figlia di un pescatore, disperso in mare in una notte di tempesta, e di una lavandaia di costumi un po' liberi, la quale per alcuni anni aveva convissuto con il pescatore e gli aveva dato una bambina, Rosina appunto, ma che, in seguito, aveva piantato per fuggire a Foggia con un certo Nino, un commesso viaggiatore, che aveva frequentato per qualche giorno la città e la sua lavanderia. Rosina, dunque, era stata allevata dal padre con un amore del tutto speciale, l'amore della gente semplice, che, nonostante viva spesso in mezzo ad ogni tipo di compromesso, non ha molti grilli per la testa. La bambina, quindi, diventata più grande, mostrava un carattere gioviale e un temperamento gaio.

Ad un tratto, però, quando la ragazza aveva poco più di vent'anni, la tragedia!

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